Da regione del petrolio a quella del “bio”gas. Un passo indietro nella transizione energetica

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Sembra essere questa la politica di transizione energetica che l’attuale governo regionale intende mettere in atto in regione Basilicata continuando a puntare sul gas e sul biogas, in cui il prefisso “bio” indica semplicemente un processo di fermentazione anaerobica di biomasse e non un reale approccio ecologico o sostenibile.

Già in passato avevamo espresso le nostre perplessità riguardo a una politica regionale che, pur dichiarando l’obiettivo di abbattere le emissioni, incoraggia ancora la produzione di gas e biogas. I processi di produzione del biogas, infatti, si basano su biomasse ottenute dagli scarti agroalimentari, deiezioni animali e residui vegetali naturali, ma questo non garantisce affatto un impatto nullo sull’ambiente.

Paradigmatico è l’impianto di produzione di biogas costruito nel territorio di Venosa tramite un iter che non ha coinvolto né il consiglio comunale né altri enti in un processo etero-autorizzativo. La sua utilità risulta ancora difficile da apprezzare, poiché non solo sembrerebbe non offrire alcun beneficio tangibile in termini di risparmio energetico alla comunità ospitante, ma, a differenza di impianti presenti in contesti ad alta intensità industriale, non è connesso ad industrie agroalimentari. Di conseguenza, il conferimento delle biomasse avviene tramite mezzi pesanti che aggravano ulteriormente il traffico su una rete viaria già di per sé in condizioni non ottimali.

Ciò  che però  desta maggiore preoccupazione è il forte incremento, nell’ultimo anno, di nuovi impianti di biogas progettati o in via di realizzazione in Basilicata.

Tra i casi più significativi vi sono l’impianto di Grottole e quello pianificato da Stellantis a San Nicola di Melfi per 17 milioni di euro, oltre al protocollo d’intesa siglato tra ENI e la Regione nel 2023, che destina 8 milioni di euro alla conversione degli impianti esistenti da biogas a biometano e alla costruzione di nuove strutture.

Ma, nonostante le rassicurazioni del governo regionale sul fatto che questi impianti saranno alimentati esclusivamente con scarti agricoli locali, sorgono dubbi legittimi sull’effettiva disponibilità in loco, di un quantitativo di biomasse sufficienti ad alimentare gli impianti autorizzati e in via di autorizzazione. 

Il timore, infatti,  è che il numero crescente di impianti di biogas possa comportare la necessità di approvvigionarsi di biomasse da altre regioni italiane o persino dall’estero, con il rischio di rendere economicamente e ambientalmente insostenibile l’intero processo. Esiste inoltre la concreta possibilità che si incentivino coltivazioni dedicate, come frumento, mais o girasole, al solo scopo di alimentare questi impianti, sottraendo risorse all’agricoltura tradizionale e incidendo negativamente sull’ambiente.

Sulla scorta di queste preoccupazioni, abbiamo presentato un’interrogazione urgente per chiedere chiarimenti sulla situazione attuale: quanti impianti sono già operativi o in fase di realizzazione? Quali garanzie sono previste sull’origine esclusivamente locale delle biomasse? E, infine, le aree scelte per l’installazione  sono adeguate a garantire la sicurezza per la salute pubblica e la salubrità ambientale?

Ribadiamo con forza che il biogas non rappresenta una soluzione compatibile con gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO₂. Al contrario, le emissioni derivanti dalla produzione di gas continuano a essere dannose per l’ambiente e per la salute dei cittadini, al pari delle tradizionali fonti fossili. Non possiamo accettare che, anziché proseguire verso un futuro energetico sostenibile, la Basilicata rischi di trasformarsi da “regione del petrolio” a “regione del gas.”

Viviana Verri, Alessia Araneo (Consigliere regionali M5S Basilicata)

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