Cava di Monte Crugname a Melfi Legambiente: “Il via libera concesso dalla Regione Basilicata è un errore grave.

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E la Soprintendenza mette la testa sotto la ….sabbia”

La coltivazione di nuove cave non è una priorità per la Basilicata, serve piuttosto incentivare il riciclo dei materiali e l’economia circolare in edilizia

Lo scorso 4 maggio con delibera di Giunta Regionale è stata definitivamente autorizzato il progetto di coltivazione mineraria di una cava di quarzareniti in località Monte Crugname nel Comune di Melfi per lo sfruttamento di sabbie silicee. Una vicenda, quella della cava alle pendici del Monte Vulture, lunga 5 anni che nonostante le prese di posizione, le proteste e i ricorsi di cittadini ed associazioni, vede ora la conclusione del relativo procedimento amministrativo che ha sancito, grazie al parere favorevole degli enti preposti, la compatibilità ambientale dell’attività estrattiva in quel sito. “Ciononostante- dichiara Antonio Lanorte, Presidente di Lagambiente Basilicata – continuiamo ad avere molte perplessità sulle modalità con cui è stata condotto l’intero iter di valutazione esprimendo nel contempo il nostro netto dissenso rispetto all’autorizzazione concessa”. 

“Perché innanzitutto – continua Lanorte – intorno alla vicenda di Monte Crugname manca del tutto una discussione su ciò che è stato e ciò che dovrebbe essere il settore delle estrazioni da cava in Basilicata oltre che il suo rapporto con il settore delle costruzioni. Le cave oggi sono un indicatore efficace per capire a che punto siamo della transizione del settore delle costruzioni verso un modello che punti su qualità ambientale e riciclo, capace di fermare la drammatica crisi iniziata nel 2008, poi acuita dalla crisi pandemica e dalla guerra in Ucraina. Il mondo delle costruzioni ha oggi la possibilità di passare da un modello lineare (con al centro il prelievo di materiali in cava, la costruzione e lo smaltimento in discarica) ad uno circolare dove l’obiettivo è puntare su recupero, riciclo, riqualificazione urbana e territoriale. È una trasformazione tutt’altro che semplice, perché presuppone di cambiare l’intera organizzazione delle diverse fasi di appalto, progettazione e cantiere. Ma è ineludibile sia nell’interesse generale, per il differente impatto sull’ambiente, sia per quello di chi lavora nel settore, perché in questa prospettiva si aprono opportunità di innovazione di impresa e di creazione di lavoro di grande interesse”. 

“Per questi motivi – sostiene ancora Lanorte – non è possibile ridurre, come fatto fino ad ora, l’autorizzazione ad estrarre in favore del cementificio Costantinopoli di Barile, solo ad un mero procedimento amministrativo e tecnico di cui la politica prende atto senza intervenire. Bisognerebbe invece che il decisore politico accelerasse in una direzione che è oramai segnata da direttive europee e leggi nazionali, ma soprattutto cogliesse le opportunità che si aprono. È infatti evidente che nei Paesi dove si è più avanti in questi processi, si sta concretamente dimostrando che è possibile ridurre drasticamente il prelievo di materiali da cava attraverso l’utilizzo di materiali provenienti dal recupero e riciclo, che garantiscono prestazioni identiche grazie alle innovazioni in corso nella ricerca e sperimentazione. Non possiamo, infatti, accettare che si continui a devastare il territorio con l’estrazione di materiali che possono essere sostituiti da altri provenienti dal recupero e riciclo. Si può arrivare a recuperare il 99% di materiali dalle demolizioni selettive di edifici, da riutilizzare e trasformare creando nuove imprese nei territori. Ora è il momento di dare sbocco a questi materiali rendendo possibile la loro applicazione per riqualificare il patrimonio edilizio e infrastrutturale e i territori. La transizione verso un modello circolare va accelerata coinvolgendo il mondo delle costruzioni. E puntando su ricerca, innovazione e qualità dei prodotti si può tornare a far crescere imprese e occupati”.

“Pertanto – afferma Lanorte – l’apertura di una nuova attività estrattiva a Monte Crugname sarebbe la vittoria di un modello vecchio che permetterebbe l’avvio di un’ opera non certamente prioritaria per la Basilicata e al contempo inutilmente dannosa  per il territorio del Vulture, peraltro a poco più di 1 km dal confine del Parco Regionale. A tal proposito continuiamo a ritenere che l’Ufficio Parchi della Regione Basilicata avrebbe dovuto avere un ruolo più attivo nel procedimento di VIA considerato che quell’area è quantomeno un probabile corridoio ecologico tra il Vulture e le aree protette della vicina provincia di Avellino”.

“Una importante considerazione va fatta infine – conclude Lanorte – sul ruolo della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti ePaesaggio della Basilicata che nella sostanza, nel corso di questi 5 anni, ha sempre espresso parere favorevole alla realizzazione della cava, salvo sospendere, con una nota datata 4 settembre 2020, tale parere favorevole “ritenendo di subordinare l’espressione del parere definitivo di competenza all’acquisizione dei risultati delle indagini richieste dal Comune di Melfi”. Quindi la Soprintendenza, pur favorevole a concedere l’autorizzazione, sospende nel 2020 tale parere per accogliere una richiesta del comune di Melfi. Tuttavia, dopo oltre un anno da quella nota, come si evince dal verbale del Comitato Tecnico Regionale per l’Ambiente (CTRA) del 27 ottobre 2021, la Soprintendenza comunica che in area prossima alla futura cava c’è un antico tratturo (probabilmente il tratturo di San Guglielmo) e che “valuterà se necessario procedere con l’apposizione di un vincolo archeologico ai sensi del D.M. 22/12/1983, che configurerebbe anche l’interesse paesaggistico della zona”. A questo punto il CTRA decide che non è più opportuno attendere, visto il tempo già trascorso, ulteriori rilievi da parte della Soprintendenza e rilascia il giudizio favorevole di compatibilità ambientale. E’ opportuno, a nostro parere, descrivere questi passaggi perché da essi si evidenzia da un lato l’insofferenza del CTRA che addirittura affretta la conclusione del procedimento senza attendere le ulteriori comunicazioni della Soprintendenza. Dall’altro un atteggiamento evidentemente poco solerte della Soprintendenza stessa, che stride con quello ben più attivo che essa manifesta nei confronti di altre attività sul territorio lucano negli ultimi anni. In sostanza da questa vicenda ci pare di evincere, ma ci auguriamo di sbagliare, che per la Soprintendenza lucana gli impianti di energia rinnovabile apportino quasi sempre un danno al paesaggio, mentre una cava che sventra una montagna e devasta un territorio non sarebbe degna delle medesime attenzioni. Eppure basterebbe pensare che, per esempio, l’impatto ambientale di  un impianto eolico anche quando evidente (e pure in Basilicata ne abbiamo esempi) è sempre reversibile, mentre quello di una cava è permanente. Tuttavia per la Soprintendenza tale impatto sembrerebbe non esistere, laddove l’interesse paesaggistico sarebbe subordinato solo alla presenza di emergenze archeologiche. Qualcosa non torna.

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