Maggiore coraggio di scommettere sul futuro del Paese puntando sulla qualita’ del patrimonio imprenditoriale. E’ la parola d’ordine lanciata dall’assemblea nazionale di Confartigianato che si è svolta a Roma per celebrare i 70 anni della Confederazione, aperta da una relazione del presidente Giorgio Merletti. “Siamo ancora troppo l’Italia del gioco ‘a catenaccio’, a cui manca la spinta e l’ardire di giocare d’attacco” ha detto Merletti ricordando che “in gran parte non sono state attuate” le norme dello Statuto delle Imprese approvato all’unanimita’ dal Parlamento. Insomma: un “Paese diviso tra sforzo di cambiare e conservazione burocratica”. Il rischio e’ che “dalla recessione si passa senza soluzione di continuita’ alla stagnazione, se non si ha la capacita’ di innovare”. “Non possiamo essere soddisfatti del primo recupero del Pil registrato dall’Istat per il Mezzogiorno dopo sette anni di cali ininterrotti”: è il commento di Rosa Gentile, vice presidente nazionale di Confartigianato con delega al Mezzogiorno. In particolare, la ripresa del Mezzogiorno ha risentito in positivo della “considerevole” crescita registrata dal valore aggiunto nel comparto agricolo (+7,3%), ma “incrementi di un certo rilievo si osservano anche in quello del commercio, pubblici esercizi, trasporti, telecomunicazioni (+2,6%) e nelle costruzioni (+1,4%)”. L’industria in senso stretto segna, invece, “una variazione quasi nulla, mentre il settore dei servizi finanziari, immobiliari e professionali è l’unico a presentare un calo (-0,6%)”.
L’altra faccia della medaglia – continua Gentile – è che emerge dallo studio “L’attrattivita’ percepita di regioni e province del Mezzogiorno per gli investimenti produttivi”, pubblicato sull’ultimo numero della Rivista Economica del Mezzogiorno, trimestrale della Svimez è che gli industriali italiani continuano a percepire il Mezzogiorno come area più arretrata di quanto non sia in realtà e lamentano soprattutto la carenza di servizi di trasporto e la presenza della criminalità quali fattori che inibiscono l’insediamento di imprese. Andando a guardare nel dettaglio le diverse tipologie d’imprenditori coinvolti (piccole o grandi imprese, imprese del manifatturiero o dei servizi, imprenditori giovani o anziani, con livello di istruzione differente) il risultato non cambia: tutti valutano in modo negativo l’attrattività delle regioni meridionali. Nella percezione degli imprenditori il Sud si presenta come un blocco monolitico tendenzialmente uniforme e ostile: “l’esistenza di tanti, molteplici Sud, differentemente attrattivi, si legge nello studio, non e’ contemplata. In altre parole, per le imprese del Paese gli svantaggi localizzativi nel Mezzogiorno non presentano differenziazioni territoriali”. Politiche di investimento in infrastrutture di trasporto, politiche industriali e campagne specifiche di comunicazione sull’area sono – dice Gentile – gli strumenti necessari per aggredire la scarsa attrattività del Sud. In particolare, servono azioni “nel trasporto ferroviario, nella portualità, nell’intermodalità e nelle piattaforme logistiche” sia per potenziare l’accessibilità del Sud dall’esterno che per favorire la mobilità interna integrando a sistema le reti di trasporto meridionali. Per impedire la desertificazione industriale servono misure a sostegno delle imprese e azioni specifiche anticriminalità. Sono necessarie inoltre “strategie di comunicazione e promozione, a livello centrale e locale, che consentano di scardinare la cappa mediatica che oggi tende a mettere tutto il Sud sotto un unico cappello”. Le altre tematiche affrontate dall’Assemblea nazionale. La differenza del carico fiscale «tra Italia e Ue è sempre troppo elevato: 28 miliardi nel 2015. In pratica, gli italiani pagano 461 euro di tasse a testa in più l’anno rispetto alla media europea. E la somma di tutte le imposte e tasse pagate dall’impresa al lordo dei profitti, è pari al 64,8%, il più alto in Europa». A lanciare il monito è il presidente di Confartigianato Giorgio Merletti, che ritiene positive ma non sufficienti le misure adottate per attenuare il carico fiscale sulle imprese.
269 ORE PER GESTIRE GLI ADEMPIMENTI. Merletti precisa: «Non vediamo ancora i tanto attesi effetti concreti della riforma della pubblica amministrazione all’insegna della semplificazione. Tanti decreti Madia che si susseguono, ma scarsi o nulli effetti di reale cambiamento». Per l’86% degli imprenditori resta la complessità delle procedure amministrative. L’Italia è lontana dalla media del 62% registrata nell’Ue. Solo per gestire gli adempimenti fiscali servono 269 ore l’anno, 92 ore in più rispetto alla media dei Paesi Ocse.
METTERE MANO AL CUNEO FISCALE. Sul fronte del lavoro, prosegue Merletti, «abbiamo apprezzato le misure varate dal Governo con il Jobs Act ma non possiamo non rimarcare il profondo gap che ci divide dai maggiori Paesi industrializzati: in Italia il cuneo fiscale sul costo del lavoro dipendente arriva al 49% e supera di 13 punti la media Ocse. Con queste percentuali è davvero difficile rimettere in moto l’occupazione».
MERLETTI: «ATTUARE LE NORME». «Ci aspettiamo che nella prossima legge di stabilità siano attuate quelle misure di semplificazione e riduzione degli oneri previste nella delega fiscale e finora rimaste inattuate»; tra cui tassare i redditi delle imprese in contabilità semplificata secondo il criterio di cassa e non di competenza per poter pagare le tasse dopo l’incasso delle fatture; consentire la deducibilità totale dell’Imu sugli immobili strumentali; unificare Imu e Tasi in una imposta unica sui servizi; introdurre l’Iri, la nuova imposta sul reddito d’impresa, per dare concreti benefici fiscali a chi reinveste gli utili nella propria azienda.
«RIPENSARE GLI STUDI DI SETTORE». Inoltre «è necessario ripensare gli studi di settore. Il Governo, con le indicazioni di politica fiscale 2016-2017 emanate dal ministro dell’Economia Padoan, si è impegnato a revisionare gli studi per semplificarli e renderli più efficaci e attendibili. È l’occasione giusta -per ritrovare le finalità che li ispirarono nel 1993 e farli tornare, da armi di accertamento automatico, a strumenti per rafforzare la compliance con l’Amministrazione finanziaria, premiare la fedeltà fiscale, ridurre la pressione sugli imprenditori e migliorare la loro capacità produttiva».
65 MLD DI CREDITI VERSO LA PA. Merletti ricorda anche che con gli enti pubblici gli imprenditori hanno un conto in sospeso da 65 miliardi e mezzo. A tanto, infatti, ammontano i debiti commerciali accumulati dalla Pa a fine 2015 nei confronti delle aziende fornitrici. «Una montagna di denaro che è nostra ma che fatica a tornare nelle nostre aziende» ha detto il presidente di Confartigianato aggiungendo che, però «i cattivi pagatori non si annidano solo nella Pa. Le grandi imprese private sono sempre meno puntuali nel saldare le fatture alle Pmi, costrette a indebitarsi con le banche».
PER LE PMI FINANZIAMENTI RIDOTTI DI 11 MLD. Le imprese artigiane «non si sentono di condividere» le dichiarazioni di ottimismo da parte delle banche circa il rilancio dei prestiti alle imprese, «visto che, in quattro anni, dal dicembre 2011 allo stesso mese del 2015, i finanziamenti all’artigianato si sono ridotti di 11 miliardi», ha spiegato Merletti.
CON BREXIT IN FUMO 727 MLN. Confartigianato ha però parlato anche del tema caldo del momento, la Brexit, valutando l’impatto sulle Pmi. Secondo i dati dell’associazione di parla di 727 milioni di euro di mancate esportazioni italiane dei settori a maggiore concentrazione di piccole imprese nel Regno Unito. Negli ultimi 12 mesi (aprile 2015-marzo 2016) l’Italia ha esportato in terra britannica beni e servizi per 22.579 milioni di euro. Le esportazioni di prodotti manifatturieri nei settori a più alta concentrazione di Pmi sono pari a 7.538 milioni di euro, rappresentano il 33,4% dell’export complessivo Oltremanica e incidono per lo 0,52% del valore aggiunto italiano. L’alimentare è il settore di piccole imprese con maggiori vendite nel Regno Unito, con 1.972 milioni di euro, seguito da abbigliamento (1.381 milioni), pelle (1.051 milioni), mobili (939 milioni), prodotti in metallo (894 milioni), tessile (424 milioni), legno con 106 milioni.
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