La migrazione “fuori regione” per gli studi universitari consolida quel fenomeno che gli esperti definiscono di brain drain per il Sud ed, al contrario, di brain gain per il Nord.
Uno scambio ineguale di energie intellettuali a “somma zero” per il Sud che acutizza la fragilità del mercato del lavoro meridionale e lucano ed accompagna un deterioramento nella qualità delle classi dirigenti: un “depauperamento di capitale umano” con una conseguente involuzione culturale e sociale.
Non si è mai abbastanza consapevoli ed avvertiti della portata e delle conseguenze di assoluto rilievo della emigrazione intellettuale, più “impetuosa” delle altre migrazioni, conosciute nel recente passato.
Di questo “allarme” sociale si fa carico l’indagine del CSSEL-UIL, contenuta nel rapporto sul mercato del lavoro 2018.
I dati. Nell’a.a. 2016-2017 la Basilicata ha “perso” 2.356 studenti (su un totale di 3.108 immatricolazioni). Una tendenza, confermata e radicata nel tempo, di maggiore preferenza per le Università fuori regione.
Gli spostamenti più rilevanti avvengono nei presidi universitari della Campania (14,56%), dell’Emilia Romagna (10,91%), del Lazio (10,87%), della Toscana (9,54%), della Lombardia (8,3%) e del Piemonte (7,98%).
Dei 3.789 laureati lucani (lauree triennali, specialistiche e Ciclo Unico per l’a.a. 2015-2016), solo 639 hanno conseguito il titolo presso l’Università degli Studi della Basilicata, gli altri 3.150 laureati hanno conseguito il titolo in altre regioni.
Il numero maggiore dei laureati specialistici lucani si registra in Lazio per l’area giuridica e per quella economico-statistica, in Puglia, in Emilia Romagna e Lombardia.
Ed è proprio quest’ultima la maggiore “trattenitrice” degli studenti originari del Mezzogiorno: quasi il 65% degli studenti che l’hanno scelta rimane in questa regione.
A conclusione dell’arco di studio, l’ISTAT nel 2007 rivela che dopo la conclusione degli studi il 44% dei giovani laureati al Nord torna al Sud mentre il 40% rimane nella regione di completamento degli studi: una scelta di lungo periodo.
Per altri (il 16%) lo spostamento per studio diviene un passo verso una terza destinazione.
Molte domande sorgono a fronte del fenomeno dello “studio fuori regione”.
Lo spostamento è dovuto solo alla possibilità di accedere a posizioni professionali e a lavori più soddisfacenti? Quali le caratteristiche demografiche e di background familiare di chi si sposta? Ci si sposta per studiare materie particolari o anche per il meccanismo del numero chiuso? Quali mode o costumi influiscono per la scelta del luogo di studio, come la “fuga” o l’ascesa sociale familiare? Quali laureati hanno una riserva di migliori opportunità nelle economie ospitanti?
Conta l’aspettativa di una maggiore redditualità dopo la laurea e delle maggiori opportunità di specializzazione e ricerca? Conta il tentativo o l’aspirazione a fuoriuscire da una condizione di “deprivazione” sociale?
Nel contesto lucano il 32% delle famiglie lucane percepisce il quinto più basso della distribuzione dei redditi, contro solo l’8% delle famiglie che invece rientra nel quinto del reddito più elevato.
La laurea fuori regione comporta per famiglie e Stato uno sforzo contributivo non indifferente. Una stima del costo complessivo diretto sostenuto a metà dalle famiglie lucane e dal sistema pubblico si attesta su circa 60 ml Eu annui.
Un costo quintuplicato per gli anni di frequenza “fuori regione” con un “rilascio” in altri contesti socio-economici di ca. 300 ml di Eu.
La stima di per sé rilevante è calcolata per difetto di altri aspetti, come il “mancato reddito” e la mancata circuitazione in loco delle conoscenze acquisite dai laureati formati.
Certo la fuoriuscita di risorse intellettuali altrove, incluso il fenomeno dei laureati all’estero, è una sorta di “marcatore” della progressiva globalizzazione dei mercati e della mobilità delle persone per studio e per lavoro.
Non v’è dubbio però che il sistema sociale ed istituzionale regionale debba attivarsi per recuperare valori e per impiegare i talenti e le professionalità lucane, capaci di costruire connettività, attrattività con il resto del sistema aperto dell’economia globale.
In primo luogo occorre il sostegno della domanda e delle previsioni assunzionali delle imprese lucane per profili alti, insieme alle previsioni di “rimpiazzo” di personale prossimo alla quiescenza.
L’indagine Excelsior ha elaborato al Maggio u.s. una domanda presuntiva delle imprese campionate di circa 350 entrate lavorative nell’area della dirigenza professionale e tecnica, sulle 3.250 complessive previste per tutti i profili. Un dato interessante seppure in percentuale inferiore al dato nazionale (15%), confermandosi difficile in 20 casi su 100 la previsione di copertura dei profili desiderati.
Si tratta di corroborare queste dinamiche aziendali, non solo con le previsioni finanziarie ed agevolative, pure crescenti negli ultimi tempi.
Quali i fattori da rinforzare?
L’affinamento della domanda di profili qualificati con servizi quali il matching domanda-offerta; l’assistenza “a rete” per l’avanzamento tecnologico, la progettazione di nuove linee produttive, l’incontro con altre realtà aziendali per le subforniture, uffici tecnologici comuni.
Queste le azioni che un servizio pubblico per il lavoro potrebbe sperimentare, con più coerenza e determinazione, assegnando obiettivi veri di risultato alle strutture pubbliche ed ai dirigenti incaricati (es. Aglab).
Poi servono azioni che il sistema universitario e formativo può generare.
A cominciare dalla sollecitazione della mobilità studentesca, con lo scambio di periodi di studio e perfezionamento, nel Meridione verso il Settentrione e viceversa. E poi le azioni più massicce e strategiche proposte dall’ Osservatorio universitario Crui: 1. Apprendistato di Alta Formazione e Ricerca, 2. Dottorato Industriale, 3. Percorsi professionalizzanti, 4. Competenze trasversali.
Infine i Cluster tra imprese, Università, Regione e parti sociali per le più rilevanti filiere caratterizzanti l’economia locale, la via per rendere solido l’incontro con i giovani professionalizzati.
Ma con un taglio meno formale, meno statico e proclamato e più pragmatico, in sperimentazione con regioni che hanno maturato esperienza e conoscenza. È il caso della Toscana e del Trentino per la filiera Bosco-Legno-Energia.
Lo “Stato innovatore” sceglie settori di frontiera della tecnologia ad alto valore aggiunto ma deve accompagnarsi allo “Stato produttore” per la crescita di ecosistemi legati alla crescita trainata dall’innovazione.
Giancarlo Vainieri
Sofia R. Di Pierro
Centro Studi Sociali e del Lavoro Basilicata
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