Se ne discuterà oggi e domani all’Istituto tumori nell’ambito del convegno Neoplasie peritoneali
Crescono le speranze e, di conseguenza, le percentuali di guarigione per le neoplasie peritoneali.
Ad alimentare il lumicino delle aspettative dei pazienti sono proprio le ultime tecniche innovative eseguite al “Giovanni Paolo II” per combattere la carcinosi peritoneale, una patologia causata dall’estensione di un tumore alle membrane che avvolgono i visceri contenuti nella cavità addominale, appunto il peritoneo, e considerata per decenni uno stadio terminale delle neoplasie intra-addominali avanzate, sia di origine gastroenterica che a partenza dall’apparato ginecologico.
Non faranno mistero dei numeri di successo, gli specialisti del settore provenienti dall’intero Stivale, che oggi a partire dalle 12.30 e domani dalle 8.30 fino alle 13, relazioneranno nel workshop dal titolo “Neoplasie peritoneali” in programma nella sala conferenze dell’Istituto di via Orazio Flacco.
«Durante le ultime due decadi è stato sviluppato un trattamento loco-regionale in grado di curare la carcinosi peritoneale qualora possibile, oppure almeno di ridurne l’entità e rallentarne la crescita quando la sua eradicazione completa risulti impossibile- spiega il dottor Michele Simone a capo della direzione dell’Unità Complessa di Chirurgia Generale ad indirizzo Oncologico, nonché presidente del workshop- Questo trattamento si basa sulla combinazione della citoriduzione chirurgica massimale (CRS Cytoreductive surgery) e della chemioipertermia intraperitoneale (HIPEC), e al giorno d’oggi rappresenta il gold standard nel trattamento dei tumori primitivi e secondari del peritoneo».
A voler entrare nel dettaglio, la chemioterapia ipertermica intraoperatoria (HIPEC Hipertemic intraperitoneal chemotherapy) praticata solo in centri ad alta specialità e volume per la malattia neoplastica, motivo quindi di orgoglio dell’Oncologico barese unico centro di riferimento pugliese in tale ambito, consente di perfondere all’interno della cavità peritoneale dosi molto elevate di chemioterapico, incrementando quindi l’esposizione dei tessuti e l’efficacia del farmaco senza però incorrere negli effetti collaterali in quanto il farmaco non viene iniettato nel circolo e quindi non si diffonde per via sistemica. Inoltre, l’ipertermia è stata dimostrata avere un effetto nell’aumentare la penetrazione del farmaco nei tessuti dove raggiunge quindi una profondità di circa 3mm a temperature intorno ai 41-42°C .
È in un terreno composto da queste eccellenze che il paziente trova le radici più vitali della sua serenità psicologica: una condizione necessaria per scongiurare la migrazione sanitaria.
«Lo scopo principale di queste giornate- continua il dottor Simone- è quello di discutere e stabilire un consenso riguardo le migliori metodiche diagnostiche e terapeutiche e definire in modo univoco i criteri radiologici di stadiazione dei tumori del peritoneo, meglio noti come carcinosi peritoneale. Di tale peculiare condizione clinica, rimangono ignoti sia i meccanismi molecolari che regolano la progressione intraperitoneale che il profilo bio-molecolare, presupposti indispensabili per verificare l’efficacia di terapie individualizzate in questo gruppo di pazienti».
L’Istituto quindi, sulla scorta di questo crescente interesse clinico, sta sviluppando linee di ricerca molto sofisticate che sfruttano anche le nanotecnologie, nella speranza di debellare uno stato clinico così particolare come la carcinosi peritoneale.
Bari, 3 novembre 2017
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