Sul decesso del 19enne extracomunitario nella piscina del villaggio abusivo di Pino di Lenne, avvenuto il 1° agosto scorso, sono in corso le indagini della Procura.
Intanto, su disposizione del giudice Di Tursi, il dott. Chironi proprio in questi giorni ha eseguito l’autopsia, che è servita a fare chiarezza sulle cause decesso: asfissia per annegamento. Dato il via libera anche per la sepoltura.
Ora sulla vicenda interviene lo Svegliarci Palagiano, che gestisce il Cas, il Centro di Accoglienza Straordinaria. E Alhassan Zokan – questo il nome del giovane trovato senza vita – era uscito dal Cas solo il 12 luglio scorso e mai avrebbe pensato che la sua vita sarebbe terminata in una piscina, che doveva essere vuota.
Esiste, infatti, una sentenza del Consiglio di Stato, la numero 2.484 del 2013, che ha ordinato di ristabilire lo stato originario dei luoghi, demolendo quella costruzione abusiva. Eppure, quel giovane ghanese era lì e non era solo.
“Alhassan aveva trovato accoglienza a Palagiano e, soprattutto, aveva ritrovato la speranza di vivere, dopo essere fuggito dalla miseria del Ghana. Ora c’è una madre, la sua – commenta Angela Surico, presidente dello Svegliarci Palagiano – che in quella terra lontana piange la morte di un figlio che non rivedrà mai più. E il suo dolore si fa più pungente, pensando che probabilmente non avrà mai un corpo su cui piangere. Il dramma nel dramma. Le spese di trasporto della salma, infatti, pesano sulla famiglia di appartenenza. E la famiglia di Alhassan quei soldi non li ha, perché, semmai li avesse avuti – continua la Surico – Alhassan non avrebbe mai avuto l’esigenza di arrivare in Italia, non avrebbe mai rincorso la speranza di una vita non migliore, ma semplicemente da vivere”.
Lo Svegliarci ha già contatto la “Corporate Affairs Division – Halal International Authority, per valutare se ci siano le condizioni per seppellire il corpo di Alhassan nel cimitero islamico di Puglia o se sia possibile il rimpatrio della salma. Sentito sulla questione anche l’imam Hassen della moschea tarantina di via Cavallotti.
Angela Surico, cui, tra l’altro, è toccato riconoscere il corpo senza vita del giovane 19enne a bordo di quella piscina, parla di indifferenza umana: indifferenza delle istituzioni o di chi, a vario titolo, si sarebbe dovuto interessare anche dell’aspetto umano della tragedia. “Nessuno si è preoccupato di ritracciare i parenti del ragazzo, cercandoli su facebook, facendo una ricerca tra i suoi amici. E’ toccato a noi dello Svegliarci farlo. E, così, a piangere quella vita spezzata sono arrivati il fratello Baba Idriss da Malta e lo zio materno Hasimin da Vicenza. A loro abbiamo dato un tetto sotto cui dormire, cibo e, soprattutto, vicinanza umana. E toccato a noi accompagnarli nei luoghi ove si è consumata la tragedia e, poi, all’obitorio del “SS. Annunziata” a dare l’ultimo saluto ad Alhassan”.
Non solo; tanta solidarietà è stata manifestata da altri ragazzi dei centri di accoglienza: hanno raccolto dei soldi, uno, due euro a testa, per consegnarli alla famiglia della vittima.
Ma molti interrogativi ancora restano insieme al rammarico “che – commenta la Surico – questa è una tragedia che forse poteva essere evitata e che nel rimpallo delle responsabilità (personali e istituzionali) sulla lunga storia del Falanto Village, è rimasto schiacciato l’anello più debole della catena: Alhassan Zokan. L’auspicio ora è che la giustizia faccia il suo corso per dare voce e dignità a chi come Zokan rischia di diventare vittima dell’indifferenza umana, sociale e istituzionale”.
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