di Michele Selvaggi
La poesia è la più semplice delle arti, perchè fatta di quella materia prima ( le parole) che tutti usiamo, e al tempo stesso la più rischiosa, proprio per via della apparente semplicità della sua materia prima. E’ in questo gioco di opposti, il semplice e il complesso, il familiare e l’estraneo, che si muovono le poesie di Vincenzo Di Giulio de “ Il Nero e il Sole”, opera che gli è valso il meritatissimo Premio Nazionale di Letteratura Contemporanea, nella sezione silloge poetica, e lo presenta al pubblico come raffinato e profondo compositore. Nato a Taranto nel 1968 da famiglia pisticcese – Emma Cassano e Giuseppe Di Giulio i genitori – cresciuto a Roma dove attualmente lavora, Di Giulio esalta i contrari anche dal punto di vista professionale, essendo un ingegnere elettronico con funzioni direttive in una azienda di telecomunicazioni. Rispetto al suo lavoro, che è territorio di rigore e previsione, la poesia dovrebbe stare all’opposto, nel mondo dell’aperto, dell’incerto, del vago nel senso profondo del termine. Eppure, non è questo divario che si coglie nei versi de “ Il Nero e il Sole” quanto piuttosto la voglia di interrogare il mondo, oltre ogni barriera, e capire qualcosa in più della vita, dei suoi misteri e di sè stessi. I versi di Di Giulio ci riescono benissimo, con una dolcezza che emoziona e un’asprezza che commuove , pur senza togliere mai la speranza. “ E’ questo il momento – recita l’incipit di “ Ci son fiori” che apre l’opera — di fermarsi e guardare / nelle mani la testa, e sentire sentire / il silenzio frusciante / le genti lontale / è il tempo, chissà / di suonare campane /di dire buongiorno/ di raccogliere “ rose”. La serenità e la speranza di questi versi si alternano a momenti di malinconia e persino dolore, come quelli di “ Cento lacrime” ( ho cento lacrime da accarezzare / ho una conchiglia su fondo del mare /una lapide che mi parla d’amore /” ho cento rose di seta de di spine”) o nella struggente “ Il canto dei cigni” ( a Valeria ) in un alternarsi mai spigoloso ma sempre fluido, scorrevole, come un sentimento vero che viene dalla vita e sa trasformare la vita in arte. “Nella poetica di Di Giulio, scrive Cinzia Baldacci nelle note critiche introduttive – si delinea una inconsueta sorte dell’uomo, con riflessioni sul destino naturale o sovrannaturale, nell’impegno di cercare di rintracciare sempre meglio gli scopi tipici, individuali e sociali, privati e di gruppo, in una prontezza a sperimentare e interpretare l’esistenza”. Le 48 composizioni de “Il Nero e il Sole”, riunite in cinque raccolte, ci regalano un poeta raffinato, delicato, ma semplice e complesso dallo spirito gentile e dalle notevoli capacità tecniche, che non mancheranno di regalare altre soddisfazioni, a Vincenzo Di Giulio e ai suoi lettori e che trovano una sorta di apice nel finale commosso de “Il dono”( a mia madre )”: “ Il dono è stato il senso pieno / con cui ho percorso il tuo sentiero /alla luce di una stella sempre viva / splendente al sommo di una croce…./ Madre, / la vita ce l’hai data tutta / tenerla stretta, vuol dir rinfocolare / la fiamma rossa di un camino acceso / nel ventre di una casa al sole / dove tu ci tieni tra le braccia / / e noi siam sempre i tuoi bambini / e in attesa del tuo dono / la notte di Natale”.
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