Una lettura aggiornata del cambiamento sociale, istituzionale e del mercato del lavoro in Basilicata per adeguare la strategia che vede il sindacato come soggetto attivo di una nuova fase dell’economia e della società locale: è lo scopo del “Rapporto sul mercato del lavoro lucano 2018 I dati e le dinamiche” presentato in serata a Tito presso l’Ansaldo dal Centro Studi Sociali e del Lavoro e dalla Uil. E’ innanzitutto la fotografia di una fase “incespicante” dell’economia lucana con cinque capitoli dedicati rispettivamente a “Lavoro, trend demografici ed economici. La congiuntura regionale”; “Lavoro e nuove politiche di sviluppo regionale”; Il mercato del lavoro regionale nel 2017: la ripresa ed i fattori di debolezza. I dati, i profili e le dinamiche del lavoro (occupazione, disoccupazione, inattività, i rapporti di lavoro); Lavoro, inclusione, benessere, generatività (la fonte del BES); Sindacato soggetto attivo dello sviluppo locale. Quale funzione?” e due focus GLI IMMATRICOLATI ED I LAUREATI LUCANI A.A.2016/17. ANALISI E TENDENZE DELLA “FUGA” FUORI REGIONE; LA SFIDA DI MATERA 2019, IL LAVORO LA CULTURA E L’IMPEGNO DEL SINDACATO.
Alla presentazione il vice presidente Human Resources Italy Ansaldo Sts Giovanni Di Liso, il direttore dello stabilimento Vincenzo Damiano e l’assessore regionale Roberto Cifarelli.
I dati lucani dell’occupazione – spiega Giancarlo Vainieri direttore del Cseel e coordinatore del gruppo di ricercatori (Annalisa Percoco, Gianpiero Tetta, Greta Scotto di Santolo, Riccardo Achilli, Sofia R. Di Pierro) – evidenziano ancora nel 2017 un cammino di lenta ripresa, arrivando molto vicino al picco positivo raggiunto prima che si manifestassero gli effetti della crisi. Ma nel 2017, specie negli ultimi due trimestri si palesano segnali di incrinatura del trend positivo degli anni precedenti, in qualche modo anticipati nel 2016. Sono le spie di un meccanismo di sviluppo e di funzionamento del mercato del lavoro, ancora invalido e non radicato nella valorizzazione dei fattori produttivi locali. Lo sviluppo non è ancora auto propulsivo, non si muove motu proprio, ma si ferma e riprende (stop and go) al manifestarsi di misure di sostegno e di agevolazione dei fattori produttivi, ovvero per impulso della congiuntura favorevole esterna all’economia regionale o per la provvista di investimenti pubblico/privati o per il moltiplicarsi degli effetti produttivi connessi all’iniziativa dei players presenti nel tessuto produttivo locale. Difatti l’incremento occupazionale dei due anni precedenti, davvero vivace e robusto, si riduce sia pure su valori ragguardevoli di 189mila unità nel IV trimestre 2017. Torna a crescere nell’ultimo trimestre 2017 la disoccupazione con 30mila unità su 24mila del III/2017, dato che invece è, in controtendenza, ridotto sui 32mila del IV/2016. Nel pentagramma dei dati della disoccupazione lucana del triennio comunque si registra una tendenza alla riduzione del fenomeno. Il calo dei disoccupati risulta ancora più significativo se considerato alla luce della diminuzione delle persone inattive – ovvero senza occupazione né in cerca di un impiego – calcolata, su base annua 2017, in 10mila unità in meno. La maggior parte del calo degli inattivi si potrebbe infatti giustificare con un più alto numero di persone che comincia a cercare un’occupazione – in media, il 60 per cento di coloro che escono dallo stato di inattività entra inizialmente nello stato di disoccupazione. 2. Insomma nel mercato del lavoro lucano si alternano a fisarmonica le diverse variabili in campo, manifestandosi in modo netto uno scongelamento delle posizioni racchiuse nel mondo vasto dell’inattività che gradatamente sembra aprirsi verso una nuova congiuntura delle diverse forme occupazionali: soprattutto quelle “a termine”, e le forme spurie di “attività indipendenti” che caratterizzano una fase di ripresa “debole” accompagnata da una diffusa volontà e determinazione di misurarsi con esperienze di lavoro. Questo fenomeno di “vitalismo condizionato” assale il “soggetto famiglia” che nella crisi spinge più soggetti, prima inattivi, a cercare lavoro. È consistente il dato delle 73mila unità di donne occupate nel IV trimestre 2017, con +4mila unità sul III trimestre, una soglia di spicco nell’arco triennale considerato. Nel contempo diminuisce la disoccupazione femminile di +1000 unità nei trimestri in esame del 2017 e nel contempo si riduce l’inattività femminile di circa 6mila unità nei due trimestri citati. Permangono tuttavia gap di qualità, una sorta di differenza nel profondo nella dimensione socio-culturale della compagine regionale. Pur se in modo meno marginale, la Basilicata con le altre regioni meridionali rimane al fondo delle “classifiche sociali” più significative della Commissione UE, penalizzante soprattutto per la voce delle “opportunità”, dell’ “inclusione sociale” e dell’ “accesso all’educazione avanzata” . L’incidenza della povertà, escluse le classi di età tra i 35/44 anni, segnala la crescente difficoltà di trovare lavoro per chi non è più giovane ma è ancora lontano dall’età della pensione. In definitiva la condizione economica della regione, insieme a quelle del Mezzogiorno, racchiude due formazioni, due sottoinsiemi: una più avanzata insediata nei territori produttivi, dal manifatturiero all’agroindustria, alle nicchie di produzione agraria di qualità (orticolo, cerealicolo, etc.) che competono e si organizzano con le regole del mercato globale; a questo territorio che avanza, con tutte le oscillazioni degli indici di ripresa degli ultimi tre anni – dice Vainieri – , si appaia un altro “Paese” più fragile, più marginale e deprivato, la sfera del disagio ancora presente e virulento nella regione.
La lettura di Giorgio De Rita, segretario generale del Censis: “ Anche in Basilicata, come nel resto del Paese, si è registrato un doppio passo, un progredire incerto appunto, tra crescita dell’occupazione nelle filiere portanti dell’industria e dei servizi e crisi della parte meno solida dell’economia locale. Crescono occupazione e opportunità di sviluppo nel turismo come nell’agroalimentare, nella meccanica come nell’industria culturale, in altre parole nelle filiere orientate all’export, capaci di star dentro le logiche dell’economia e della competizione globale, della produzione di qualità come della capacità di intercettare flussi di persone e di merci su scala internazionale. Da contrafforte a questa crescita sta ben salda la faticosa tenuta, quando non l’arretramento, di altre dimensioni manifatturiere e di servizio, quelle estranee ai luoghi di attrazione e alle filiere industriali globali. Qualcuno, e non solo da oggi, parla dell’invincibile potenza del gene egoista dell’impresa, dell’individuo, della famiglia. Base di sopravvivenza nei periodi di crisi, stimolo d’indifferenza al contesto nei momenti di successo. Anche in Basilicata il gene egoista si è messo all’opera, accelerando nella ripresa nel 2016, rallentando negli ultimi trimestri dell’anno appena concluso. E non basta attribuire questo andamento dell’occupazione, che il Rapporto chiama incespicante, solo a elementi congiunturali. Vi sono infatti diverse dimensioni strutturali che in positivo e in negativo lo condizionano e che emergono con segnali deboli ma significativi dalla lettura dei diversi capitoli del Rapporto. Tra questi processi strutturali in primo luogo il progressivo riequilibrio tra l’occupazione nell’industria dei servizi e quella nel manifatturiero”.
Per De Rita: “ Qualsiasi sia la politica regionale di sviluppo il tema prevalente non è e non può essere nella rilevanza o nella adeguatezza delle risorse economiche e finanziarie messe in campo ma, piuttosto, nella capacità di connettere e ancorare queste risorse a processi e a schemi di intervento amministrativo efficaci. A partire dalla dimensione strategica, per rilevanza e per impatto reputazionale, degli interventi del programma Matera 2019. E, dunque, il terzo elemento di sintesi dell’analisi presentata nel Rapporto: la chiamata all’attenzione per le forze sociali e le rappresentanze sindacali. Sia per alimentare e sostenere il necessario dibattito e confronto socio-politico sia, e soprattutto, per prevenire ogni forma di pirateria o di alleanza con vecchie e nuove consorterie con l’obiettivo di tradurre la necessaria programmazione in fatti e processi amministrativi concreti. Qui sta, al fondo del ragionamento la vera fragilità strutturale della società e dello sviluppo della Basilicata, non tanto e non solo nella dimensione della fragilità dell’occupazione femminile o dell’occupazione nelle aree interne della regione quanto nella faticosa e lenta rincorsa dei gruppi di mediazione sociale a un modello di sviluppo che oggi ha poco senso richiamare: dalla dimensione di distretto industriale ai patti per lo sviluppo, dalla Cassa del Mezzogiorno, al grande intervento delle partecipazioni statali. La veloce trasformazione tecnologica, la rapidità di cambiamento dei flussi di persone e merci, la costante affilatura delle filiere, la dimensione demografica e la crisi del welfare pubblico sono solo alcuni esempi di come i processi reali dell’economia e del convivere comune chiedono un’integrale riprogettazione delle politiche pubbliche e della loro governance. A pena, in difetto, di un arretramento altrettanto rapido”.
Analizzando il Patto per la Basilicata, per il Cseel-Uil servono gruppi di progetto orizzontali che gestiscano le piattaforme di politiche di sviluppo trasversali e occorre portare a compimento il disegno delle in house regionali, dando avvio operativo all’agenzia agroforestale ed all’agenzia regionale per il lavoro. La proposta centrale che troverà spazio nella relazione di Carmine Vaccaro domani al congresso a Tito (auditorium Cecilia) alla presenza del segretario nazionale Carmelo Barbagallo : un programma di fine legislatura ed una traccia per “il futuro” della regione basato su poche cose che si possono fare prima di dicembre 2018, su due o tre temi fondamentali: welfare, impresa e ricerca, mercato del lavoro. Infine un progetto cardine su Matera Basilicata 2019 e turismo.
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