L’iniziativa del Comune di Irsina entrato a far parte della rete dei “nomadi digitali” o “remote worker” non ha colto di sorpresa il Distretto Turistico Terre di Aristeo che tra le motivazioni per attrarre turisti, liberi professionisti e lavoratori del web considera questo un fenomeno da studiare quale una nuova formidabile opportunità per contrastare lo spopolamento dei borghi.
L’a.d. Terre di Aristeo, Saverio Lamiranda, in proposito, riferisce i risultati di uno studio condotto dall’Associazione italiana nomadi digitali e da Airbnb (intervistando un campione di oltre 2.000 lavoratori da remoto o in procinto di fare i bagagli) che ridisegna l’identikit del nomadi digitali 2.0, per i quali il Parlamento nel decreto sostegni ter ha previsto agevolazioni e per gli stranieri un ‘visto’ di soggiorno apposito. Non si tratta più di ventenni, single, freelance della tecnologia al lavoro da qualche remota località, ma in prevalenza di esperti di marketing e comunicazione over 35, che si spostano con il partner e non disdegnano di soggiornare oltre 3 mesi in Italia, meglio se in una delle regioni del Sud.
I nostri borghi – afferma Lamiranda – si sfideranno per attirare i lavoratori a distanza e ciò porterà a una ridistribuzione dei luoghi in cui le persone viaggiano e vivono. E’ dunque essenziale attrezzarsi alla sida. Oltre, ovviamente, a garantire la fibra e internet veloce, l’ospitalità intesa prima di tutto come ricettività e servizi è il fattore determinante per la scelta del “remote worker”. Attrarre remote worker e nomadi digitali nella nostra regione rappresenta una grande opportunità per differenziare l’offerta turistica tradizionale e sviluppare progetti innovativi con un forte impatto sociale.
Il fenomeno dei remote worker interessa maggiormente le donne, che rappresentano il 54% degli intervistati, mentre l’età di riferimento è quella dai 25 ai 44 anni (67%). E a livello professionale? Cade lo stereotipo del giovane freelance che lavora in ambito tecnologico: il nuovo nomade è un dipendente o collaboratore (52%), impiegato principalmente nei settori del marketing e comunicazione (27%) e presenta in media un alto livello di istruzione: il 42% ha una laurea e il 31% un master o un dottorato. E questo tipo di esperienza non è più ad appannaggio dei single: chi la sceglie, infatti, preferisce la compagnia del proprio partner (44%) o della famiglia (23%).
Le attività che vorrebbero maggiormente sperimentare e che interessano di più remote worker e nomadi digitali sono: gli eventi culturali e quelli enogastronomici (60%), seguiti da attività a contatto con la natura (51%), esperienze originali e caratteristiche del territorio (40%) e da attività di socializzazione con la comunità locale (37%). Durata del soggiorno? L’esperienza per molti potrebbe andare da 1 a 3 mesi (42%), oppure da 3 a 6 (25%). Complessivamente, per quasi un nomade digitale 1 su 2, la permanenza potrebbe durare oltre i 3 mesi e fino a 1 anno (45%).
Gli aspetti più rilevanti e irrinunciabili per i remote worker che vorrebbero vivere un’esperienza di nomadismo digitale in Italia e che influenzano la scelta della loro destinazione sono: la qualità della connessione a Internet (65%), costi della vita (61%) adeguati alle loro esigenze, attività culturali (40%) e la possibilità di sperimentare le tradizioni locali (37%).
C’è poi un altro trend che il Covid ha dettato per le estati 2020 e 2021, definito Workation, un mix di lavoro (work) e vacanza (vacation) perché fatto da luoghi di villeggiatura, o holiday working, con un riferimento più esplicito allo smart working. Per gli operatori del turismo si è aperto un mercato finora poco esplorato ma decisamente promettente. Per non parlare delle esternalità positive per quei territori tradizionalmente non considerati importanti mete turistiche, con ricadute anche in termini di maggiore sostenibilità economica, sociale e ambientale derivante da una minore concentrazione dei flussi turistici.
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